Sono passate poco più di 48 ore da quando ho pubblicato un post in cui raccontavo cosa diavolo sia Dismaland: un finto parco di divertimenti creato da Banksy negli spazi di una piscina pubblica abbandonata a Weston-Super-Mare, cittadina sulle coste del Somerset, a meno di 20 minuti da quella Bristol dove lo street artist è nato (forse), ha vissuto (probabilmente) e magari ancora vive (a volte).
Mentre cercavo di capire come è fatto il parco, quali attrazioni lo compongano e quale sia il suo significato, mi sono accorto però che ogni nuova informazione che trovavo faceva crescere la mia curiosità di sapere qualcosa di più di questa opera tanto effimera quanto complessa e visionaria. E così ho deciso di tornare qui oggi per condividere i nuovi segreti che ho scoperto su Dismaland con chi, come me, non ne ha ancora avuto abbastanza.

Dismaland at night. Photo Credits: Eyezeit via Imgur
DISMALAND VERSUS DISNEYLAND
In molti articoli che ho letto, anche su siti e testate al di sopra di ogni sospetto di superficialità, mi ha sorpreso la ricorrente pretesa di ridurre questa opera a una semplice “parodia di Disneyland”, o – peggio – a una sua banale “versione horror“. E’ lampante che l’estetica di Dismaland sovverta deliberatamente quella del classico parco di divertimenti, facendosi beffe in modo smaccato dell’immaginario disneyano. Anche la comunicazione di marketing del parco enfatizza questa contrapposizione: mentre il payoff di Disneyland è “The happiest place on earth” (il luogo più felice del mondo) quello di Dismaland è invece “The UK’s most disappointing new visitor attraction” (l’attrazione più deludente del Regno Unito), mentre il primo è l'”Amusement Park” (Parco di divertimenti) per antonomasia, questo si definisce come “Bemusement Park” (che potremmo tradurre come un parco che disorienta, che lascia spiazzati).

Water Cannon Creek. Photo credits: via Dismaland profile on Instagram
Il riferimento diretto a Disneyland non è casuale: emblema planetario di una egemonia culturale che ci alleva fin da piccoli confezionando per noi sogni e rassicurazioni che ci accompagnano inconsapevolmente per tutto il corso della nostra vita, nelle scelte politiche e nei consumi, il marchio Disney è da sempre nell’occhio del mirino dell’artista inglese. Basta rivedere il suo famoso “Mickey Mouse and Ronald McDonald” in cui i simboli dei due colossi americani Disney e McDonald tengono per mano con spensieratezza la “Napalm girl“: la bambina di 9 anni Kim Phuc ritratta nella foto-icona di Nick Ut del 1972 mentre fugge nuda da un villaggio del Vietnam dopo essere stata ustionata da un bombardamento al napalm. Un contrasto stridente e provocatorio, che sintetizza in un colpo d’occhio il pensiero di Banksy sulle responsabilità sociali e sul ruolo politico delle grandi multinazionali.
Tuttavia a Dismaland Banksy utilizza l’estetica di Disneyland e la forma del parco dei divertimenti, come un puro supporto narrativo della propria critica della cultura di massa, esattamente come approfitta del potere evocativo dei suoi simboli per esercitare un paradosso continuo, nel tipico stile banksiano, ma senza certo accontentarsi di farne l’unico dei bersagli del proprio sarcasmo (e nemmeno, direi, il principale). Basta infatti dare un’occhiata al precedente post su Dismaland per capire che, a parte qualche orecchio di Topolino e qualche Principessa in difficoltà, le attrazioni del parco puntano in realtà il dito su temi di respiro ben più ampio, che spaziano dall’alimentazione al petrolio, dalla guerra allo squilibrio delle ricchezze del pianeta.
Jeffrey Gillette è uno degli artisti chiamati da Banksy ad esporre a Dismaland. Vive e lavora in California, non lontano da Anaheim (sede di Disneyland), e nei suoi quadri ritrae un futuro apocalittico sovrastato da insegne di Disneyland in rovina dove personaggi Disney si aggirano come sopravvissuti tra baraccopoli e sterminate discariche. In un’intervista afferma, parlando del potere di Disney: “They’re such a big presence and such a big part of culture and symbolic of so many things. It’s hard not fuck with them“. Un’affermazione tanto semplice quanto interessante, dal momento che nella dimensione dell’inevitabile (“it’s hard not to”) ridimensiona da un lato l’idea che Dismaland si possa ridurre a una semplice parodia di Disneyland, mostrandocela come una pietra di paragone quasi obbligata per chi tratta il tema della cultura di massa. Dall’altro, tuttavia, evoca la proporzione inquietante (che sfugge a noi europei) di quanto negli Stati Uniti, in mancanza di alternative culturali di forza paragonabile, questo monopolio culturale abbia dato al colosso statunitense il potere di plasmare la mente delle giovani generazioni in un modo determinante, le cui conseguenze sono ben visibili, tangibili ed alienanti.

Graffito all’ingresso di Dismaland. Photo credits: @francisclarke on Twitter
IL PERSONALE DEL PARCO
Uno degli aspetti che più mi ha colpito di Dismaland è il ruolo non secondario del “finto” personale del parco: guardie, hostess e custodi delle attrazioni. Molti anni fa, ad Orlando, conobbi un fantastico personaggio che lavorava a Disneyworld come figurante (indossava tutto il giorno i panni dello scoiattolo Ciop) e una notte ebbi l’irripetibile occasione di poterlo accompagnare nel parco durante la chiusura al pubblico. Rimasi elettrizzato e traumatizzato nello scoprire cosa si nascondesse dietro le quinte di quel mondo apparentemente perfetto e nel capire quanto questa perfezione, questi sorrisi e questo esasperato buonumore facciano parte di un contratto vincolante tra l’azienda e i suoi dipendenti, talmente centrale che un labbro inarcato all’ingiù può essere causa di immediato licenziamento. Una falsità profonda e mostruosamente destabilizzante, ma comprensibile, da un certo punto di vista, visto che l’esperienza che acquista chi decide di entrare a Disneyland è un concentrato di sogno e spensieratezza, che non ammette inquinamenti di reali emozioni, malumori, negatività, men che meno da parte di coloro che impersonano il volto del parco percepito dai visitatori.

Una hostess di Dismaland all’ingresso del parco – Photo credits: Matthew Horwood

Una hostess di Dismaland con i palloncini “I am an imbecile” – Photo credits: Alicia Canter -The Guardian

Dipendenti di Dismaland con la brochure del parco – Photo credits: via La Stampa

Le espressioni depresse dei dipendenti di Dismaland. Photo credits: George-Bowden – HuffingtonPost
Nel suo abile esercizio di completa sovversione dell’estetica disneyana, Banksy non ha dimenticato di ribaltare anche questo elemento: il personale di Dismaland è volutamente scontroso e indifferente. Gli stewart accolgono i visitatori con occhi vuoti, sussurrando a chi entra “Welcome to Dismaland” con voce spenta e annoiata, e tutti coloro che lavorano nel parco appaiono imbronciati e depressi, sotto le loro orecchie da Topolino e i loro gilet rosa fluorescenti che enfatizzano questo ennesimo paradosso.
Durante i lavori di costruzione di Dismaland il cantiere è rimasto recintato, per non dare alla curiosità dei passanti nessuna risposta e nessun indizio di cosa stava realmente prendendo vita al suo interno. Per sviare ogni sospetto è stato lasciato credere che fosse in corso la costruzione di un set cinematografico, e sulla scia di questa scusa è stato annunciato un casting per scritturare alcune comparse per il film che stava per essere girato. Sono proprio coloro che sono stati selezionati da questo casting che lavorano oggi nel parco, e il criterio con cui sono stati scelti è stato proprio la capacità interpretare questo ruolo svogliato e malinconico.

I controlli di sicurezza a Dismland nei metal detector di cartapesta di Bill Barminski. Photo credits: Reuters
Anche le guardie che aggrediscono immediatamente i visitatori ai cancelli del parco per i controlli di sicurezza sono in realtà attori che impersonano il cliché universale degli “sbirri” che ricorre spesso nelle opere di Banksy: tronfi della propria piccola autorità e corredati dalla mimica da duro, gli atteggiamenti eccessivi e il linguaggio arrogante che ci si aspetta da chi ricopre quel ruolo, insistono con severità per controllare ogni borsa introdotta nel parco e spingono sgarbatamente i visitatori sotto metal detector di cartapesta bianca, opera di Bill Barminski. La superficialità e l’inutilità di questa farsa, recitata unicamente per compiacere se stessi, non viene rivelata solo dalla evidente finzione di tutti gli strumenti (non solo i metal detector, ma anche i computer, le armi e le telecamere sono di cartapesta) ma anche dal fatto che la performance si concluda lasciando passare chiunque dichiari di non avere con sé bombolette di vernice spray, pennarelli e gli altri articoli vietati dal finto protocollo di Dismaland (ennesimo paradosso, dato che si tratta dei ferri del mestiere tipici dello street artist, sul cui divieto Banksy ironizza qui come nei suoi murales).
I RIFERIMENTI ALL’ATTUALITA’
Dismaland è un’opera dai molteplici livelli di lettura. Conoscere le vicende che hanno influenzato e ispirato Banksy può essere un piccolo aiuto in più per chi vuole cogliere il significato delle 10 opere inedite del parco che portano la sua firma, andando oltre quel primo immediato livello di lettura (quello del semplice divertimento, dell’originalità o dell’horror) e spingendosi più in profondità nel suo messaggio. Se è immediato comprendere il contemporaneo riferimento storico dei barconi carichi di immigrati del Mediterranean Boat Ride (di cui parlavo nel post precedente su Dismaland) è sufficiente approfondire un po’ la cronaca inglese degli ultimi mesi per scoprire, ad esempio, che il cavallo della giostra, macinato per farne lasagne, non è un generico riferimento agli ingredienti di ciò che mangiamo (come avevo immaginato), ma una citazione ben precisa di un caso di cronaca accaduto recentemente e molto enfatizzato dai media del Regno Unito che hanno messo duramente sotto accusa il produttore di alimenti congelati Findus dopo che l’Autorità britannica della sicurezza alimentare (FSA) ha trovato dal 60% al 100% di carne di cavallo non dichiarata nelle sue lasagne surgelate.
Anche la donna colpita dai gabbiani, che non avevo pubblicato nel post precedente perchè non ne afferravo il senso, ho capito che esaspera un altro caso mediatico recente avvenuto in Inghilterra: l’allarmismo dei giornalisti inglesi circa l’aumentata aggressività di questi uccelli nel corso di questa estate 2015.

Seagull Attack, Banksy. Photo credits: via Focus.it
Un’altra opera che non avevo compreso fino in fondo e per la quale non riuscivo a spingermi oltre il primo livello di lettura è la grande orca ammaestrata che salta da un water dentro un cerchio per finire in una piscinetta gonfiabile per bambini. Per capirla occorre infatti riconoscere nel mammifero marino il simbolo di Seaworld, uno degli altri grandi parchi di divertimento acquatici di Disney.

L’orca ammaestrata, Banksy. Photo credits: Yui Mok
Sempre nel filone dei riferimenti a Disneyland si colloca anche la suggestiva opera di Jimmy Cauty dal titolo “The Aftermath Displacement Principle – Part One“, un immenso plastico che occupa una intera stanza dell’ala coperta del parco, dove sono esposte le opere degli altri artisti chiamati da Banksy ad affrontare la propria critica alla società contemporanea. Così come “It’s a Small World” è un’attrazione storica di Disneyland che presenta un mondo in miniatura dove tutto è dolce e spensierato, così l’opera di Jimmy Cauty è la raffigurazione in scala ridotta (precisamente 1:87) di un desolato quartiere suburbano che sembra essere appena stato messo a fuoco e saccheggiato dopo una sommossa. Le case sono state abbandonate e le uniche presenze umane sono i circa 5000 poliziotti in miniatura disseminati sulla scena, giunti per reprimere, controllare e risolvere con urgenza il problema, ma che sembrano invece passivi, incapaci di fare accadere nulla che non sia il mostrarsi indaffarati nel compito che è stato loro affidato, senza realmente svolgerlo, mentre le infinite luci colorate delle sirene dei mezzi di polizia e di soccorso lampeggiano vorticosamente intorno a loro enfatizzando la tensione sospesa della scena.

The Aftermath Displacement Principle, Jimmy Cauty – Part One. Photo credits: Alicia Canter – The Guardian

The Aftermath Displacement Principle, Jimmy Cauty – Part One. Photo credits: Yui Mok – PA Wire
I BUONUMORI DEL GIOVANE BANKSY
C’è un ultimo aspetto personale della storia di Banksy che ho scoperto e che mi aiuta a guardare a Dismaland con i suoi occhi, ed è che lui, in questo parco acquatico di nome Tropicana, ci andava davvero da bambino, a trastullarsi nei suoi giochi d’acqua e nella sua piscina, prima che chiudesse nel 2000 e andasse in rovina. Un dettaglio che mi ha ispirato una piccola deviazione voyeuristica per farmi un’idea di come fosse il parco abbandonato, appena prima dei lavori per farne Dismaland (ripreso con un drone nel video qui sotto), e di come fosse invece prima della chiusura, quando il nostro veniva a sguazzarci (negli ultimi fotogrammi del video qui sotto e nel video più in basso).
Banksy stesso dichiara in un comunicato stampa che è stato un onore potere riaprire questo luogo in cui andava così volentieri in passato e scherza sulla discutibile qualità nazional-popolare dei suoi intrattenimenti: “I loved the Tropicana as a kid, so getting to throw these doors open again is a real honour. I hope everyone from Weston will take the opportunity to once more stand in a puddle of murky water eating cold chips to the sound of crying children” (Da bambino mi piaceva il Tropicana, ed essere riuscito a riaprire di nuovo le sue porte è un vero onore. Spero che tutti gli abitanti di Weston potranno cogliere l’occasione di stare, ancora una volta, immersi in una pozza di acqua torbida a mangiare patatine fredde al suono di bambini che piangono). In nome di questo affetto personale per la città, Banksy ha voluto riservare la visita in anteprima del 21 agosto, la vigilia dell’apertura al pubblico, ai soli residenti di Weston-Super-Mare a cui ha regalato il biglietto che ha affidato in esclusiva – e gratuitamente – a un giornale locale.
E i giorni successivi? Quanto costa farsi spiazzare nel mondo di Dismaland e portare l’intera famiglia a godersi questa ultima “aggiunta al nostro cronico surplus di divertimenti” (per usare le parole di Banksy)? Teoricamente è un privilegio che si può comprare al modico prezzo di 3 sterline (Banksesse oblige), a patto di riuscire ad accaparrarsi i misuratissimi biglietti centellinati in vendita online sul sito ufficiale.
BANKSY: MARKETING O REALTA’?
Ma tutto questo disinteresse sarà autentico? L’apparente dissociazione dalle dinamiche commerciali classiche del mondo dell’arte sarà un indizio importante per completare la percezione della vera filosofia banksiana, o solo un artificio diabolico, un vezzo da grande star, un ennesimo tassello costruito a tavolino per alimentare l’immagine che da anni l’artista ci offre di sé? Forse non lo sapremo mai, ma è giusto domandarcelo, visto che non dobbiamo escludere – per non fargli torto – che sia anche lui uno dei tanti prodotti finti e pericolosi di quella cultura dei consumi che compriamo a scatola chiusa, e che invece lui stesso ci ha insegnato a guardare con diffidenza e cautela.
Io però voglio credergli, che sia per fede o per debolezza alle sue leve di marketing. E voglio salutare questo suo nuovo capolavoro con le parole del rapper Danti, voce del duo Two Fingerz che all’artista di Bristol ha dedicato un album intitolato Danksy distribuito in free download con lo slogan “L’arte finisce quando puoi comprarla“.

Vista aerea di Dismaland a Weston-Super-Mare. Photo credits: Iain Brimecome & Jon Goff
Per saperne di più:
- Il primo post su Dismaland dove spiego cosa sia, quali siano le sua attrazioni e il suo significato
- Il sito ufficiale di Dismaland
- La pagina del sito dove prenotare i bigliettiper Dismaland (se ancora ne restano)
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