30
settembre 2011

IN FUGA DAGLI SCHEMI

ovvero: come il modello del continuum di Fiske e Neuberg ci insegni che possa bastare un dettaglio inatteso per risvegliare le nostre energie cognitive e dedicarne una quota aggiuntiva all'interpretazione di ciò che ci circonda
Posted by il 30 settembre 2011

Uno dei concetti fondamentali della disciplina che va sotto il nome di cognizione sociale è la definizione di schema come struttura cognitiva caratterizzata da una serie di attributi interdipendenti fra loro. Possiamo identificare lo schema come un costrutto mentale, irriducibile alle funzioni fisiologiche che hanno contribuito a formarlo, che ha lo scopo di guidare il modo con cui noi organizziamo le informazioni provenienti dal mondo esterno al fine di ottenere un adeguato controllo sulla realtà e una buona accuratezza nell’ interpretare i dati grezzi provenienti dall’ ambiente sociale che ci circonda.

Sono state individuate diverse tipologie di schemi dalla ricerca socio cognitivista tra cui possiamo citare gli schemi con cui categorizziamo le persone in base al loro gruppo di appartenenza o al loro ruolo sociale, gli schemi del sé tramite cui pensiamo noi stessi, gli schemi di eventi tramite i quali vengono organizzate le fasi di un protocollo di azioni ormai codificato ed appartenente al sapere comune come mangiare al ristorante.

Se avere degli schemi risulta essenziale per la sopravvivenza sociale degli individui (cosa penserebbero i nostri amici se andassimo in costume da bagno ad una cena di gala? Probabilmente non saremmo più invitati!) cosa succede quando vi sono delle informazioni che non sono coerenti con gli schemi che abbiamo appreso?

Fiske e Neuberg proposero nel 1990 il modello del continuum per descrivere il processo con cui noi gestiamo l’informazione proveniente dalla nostra vita sociale. In particolare individuarono che le persone possono produrre le loro valutazioni sia sulla base di schemi che in modo aschematico senza l’ausilio di configurazioni prestabilite ed apprese.  Le due principali variabili che contribuiscono all’uso di una di queste due vie a nostra disposizione sono la coerenza delle informazioni rispetto allo schema in nostro possesso per descrivere la situazione sociale e l’intensità della motivazione che ci spinge all’elaborazione di un  giudizio. Non bisogna infatti dimenticare che uno dei bisogni primari individuati dalla psicologia sociale è la necessità di dare una descrizione accurata della realtà che ci circonda affinchè possiamo interpretarla in modo adeguato. Nel caso fossimo molto motivati a esprimere un giudizio e le informazioni provenienti dall’ esterno fossero coerenti con il nostro schema, allora l’utilizzo della via schematica diventerebbe preferenziale (dobbiamo partecipare ad una festa da ballo e dobbiamo decidere quale vestito metterci, utilizziamo lo schema “festa da ballo” per raggiungere un risultato in breve tempo. Non possiamo ripescare dalla memoria tutte i singoli vestiti che abbiamo visto nelle diverse feste da ballo a cui abbiamo partecipato probabilmente qualche ora non sarebbe sufficiente!) . Ma se le informazioni provenienti dall’esterno non sono adeguate allo schema? In questo caso se il nostro bisogno di accuratezza prevale sul bisogno di dare una risposta in breve tempo abbandoniamo i nostri schemi mentali per seguire una via più elementarista in cui analizziamo le caratteristiche individuali della situazione sociale per elaborare una configurazione coerente al caso specifico irriducibile agli schemi a nostra disposizione.

E’ interessante sottolineare che, mentre l’uso di schemi è automatico e veloce con il rischio di sottostimare le informazioni che deviano dallo schema, la seconda via è più accurata ma difficile da perseguire perché implica uno sforzo cognitivo. D’altronde la conoscenza non avanzerebbe se ci limitassimo a classificare in categorie le situazioni sulla base delle conoscenze apprese. Maggiore è la conoscenza più schemi avremo a nostra disposizione per decifrare l’ambiente che ci circonda.

Andare deliberatamente fuori dagli schemi può essere però una strategia per porre l’attenzione su un oggetto o una situazione che altrimenti la via automatica di classificazione porterebbe ad ignorare. Se il nostro bisogno di coerenza viene messo a dura prova con informazioni fortemente discordanti dai nostri schemi abituali, allora necessariamente dobbiamo approfondire le caratteristiche individuali della persona o situazione con cui entriamo in contatto. Dopotutto, quando avete visto le immagini che corredano questo articolo, non è stata proprio la presenza del mitra – del tutto inatteso in queste placide inquadrature domestiche – ad avervi stimolati ad osservare con più attenzione la scena? E magari è stata proprio questa impennata di attenzione che vi ha permesso di capire che non si tratta di stanze normali, ma di una casa di bambola, e di conseguenza vi ha indotti a porvi quegli interrogativi che John Douglas, provocatorio autore delle fotografie, cerca sempre di suscitare con le sue opere.

Vi sono interessanti pubblicazioni  che evidenziano come la nostra attenzione converga per più tempo sulle caratteristiche di una persona incongruenti con lo schema fornito ad inizio dello studio per classificarla. Se numerosi sono gli studi dell’ utilizzo di questo modello nella conoscenza interpersonale e nella generazione dei nostri  stereotipi possiamo però prevedere molti altri campi di applicazione.

Il marketing emozionale e non convenzionale utilizzano ormai da tempo queste conoscenze per sorprendere il consumatore ed indurlo a porre una maggiore attenzione ai prodotti giocando sugli schemi cognitivi che fanno parte del sapere comune del consumatore medio. Merci esposte come opere d’arte, installazioni sorprendenti che spiazzano le aspettative del cliente, contaminazione di ambienti (basta osservare i guerrilla store) sono tutte soluzioni il cui fine consiste nell’evocare determinati schemi nell’osservatore che vengono però costantemente disattesi. Questo genera un effetto sorpresa che induce  il consumatore a porre maggiore attenzione alla situazione proposta riclassificandola cognitivamente per adattarne lo schema o analizzandola nei dettagli per elaborare configurazioni in grado di interpretarla.

Ed è qui che entra in gioco un fattore fondamentale che contribuisce all’ incremento della nostra conoscenza: la creatività. Elaborare soluzioni estetiche o situazionali innovative applicate al modo di presentare i propri prodotti consente di aggirare la via automatica di classificazione condizionando il consumatore motivato all’acquisto su come investire le sue risorse cognitive all’interno di un panorama fin troppo affollato.

Per saperne di più:

  • Uno studio dell’Università di Enna che inquadra il Modello del Continuum nel più  ampio contesto della Percezione Sociale
  • Il sito ufficiale di John Douglas, autore delle immagini “The Dollhouse Security” che accompagnano l’articolo
Attilio Sarzi Sartori

Attilio Sarzi Sartori

Attilio Sarzi Sartori dopo una laurea in Chimica e Tecnologia Farmaceutiche presso l’Università di Parma ha scelto di dedicarsi alla propria grande Passione: la Filosofia, che ha approfondito laureandosi presso l’Università di Milano e che continua a seguire esplorando temi diversi che spaziano dall'analisi dei fenomeni al confine tra Marketing, Arte e Design fino allo studio dei processi psicologici alla base dei comportamenti sociali.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *