Indovinello: chi ha investito 30 milioni di dollari per costruire un Flagship Store di 3400 metri quadrati nel cuore di Huai Hai Road, la via più trendy di Shanghai?
Una griffe del fashion made in Italy di respiro planetario ? Troppo facile.
Un brand di qualche multinazionale del lusso francese? Scontato.
Una megagalattica casa automobilistica tedesca? Macchè…
La risposta è molto più interessante: il megastore in questione è il regno di Barbie, la bambola per antonomasia, pochi grammi di snellissima celluloide che dal 9 marzo del 1959 non hanno mai smesso di incarnare i sogni delle bambine di tutti i continenti, diventando forse l’icona femminile più popolare del mondo e garantendosi una tale immunità dallo scorrere degli anni da provocare un abbondante travaso di bile a Dorian Gray.
Mattel, storica produttrice della bionda pupetta, non sazia degli oltre 50 milioni di esemplari venduti e determinata a conquistare il goloso mercato cinese (anche per sanare la perdita del 21% di fatturato registrata nel 2008) ha scelto di approfittare del cinquantesimo compleanno di Barbie – celebrato lungo tutto l’arco del 2009 con iniziative di ogni genere ad ogni angolo del pianeta – per erigerle una fortezza in uno degli avamposti più strategici di tutta l’Asia.
Il risultato è al tempo stesso un incubo kitsch capace di fare impallidire persino il celebre Pink Palace di Jayne Mansfield , ma anche un prodigio di retail marketing, che Malcolm Moore, corrispondente a Shangai del Telegraph, ha efficacemente definito in un suo articolo “the work of a clinical marketing genius”.
Nei sei piani del negozio l’esplosione di prodotti e servizi Barbie-themed sembra una enciclopedia delle categorie merceologiche terrestri. Nulla sembra essere immune dalla furia accaparratrice dell’implacabile giocattolo biondo: si spazia dai trattamenti cosmetici “plasticizzanti” per viso e corpo offerti nella Barbie Spa, ai dolciumi griffati dal cuoco-divo David Laris nella Barbie Lounge, passando per il Design Center dove una distesa di touch screen permette di creare il proprio giocattolo personalizzando la bambola con vestiti ed accessori.
Ma è al quarto piano che la diabolica Barbie attende al varco le proprie prede, pronta a sfoderare le sue armi più affilate per esaudire il loro sogno più inquietante: diventare una bambola da passerella sul Fashion Runway, dove ogni bambina innocente può coltivare l’improbabile illusione di trasformarsi in stylish supermodel scegliendo nell’infinito guardaroba il proprio look per poi esibirsi in una vera sfilata, tra le ovazioni di genitori in delirio.
Per un pomeriggio i target si confondono: trentenni childish e infanti smaniose di crescere diventano un unico grande plotone di consumatrici avide, a cui tutto appare a portata di portafoglio nella rincorsa al più intimo desiderio di ogni Barbie Girl: immedesimarsi in quel mix irraggiungibile di femminilità, glamour e ambigua dolcezza che costituisce il paradigma del successo planetario della bambola Mattel.
Tra barboncini oversize e pareti rosa confetto, l’esperienza nello store si traduce così in un’immersione a 360° nell’universo del brand, in ossequio alle più basilari leggi del marketing esperienziale. Eppure nei volumi artefatti del negozio aleggia quell’aura sinistra che tutti i templi del consumismo finiscono per sprigionare quando la loro strategia diventa troppo sfacciata, al punto che in certi istanti l’inossidabile sorriso di Barbie sembra quasi quello di una pericolosa secondina che ha segregato i consumatori nell’immensa trappola rosa del mega store.
Non a caso l’operazione è anche il coronamento di una sottile strategia psicologica, come si intuisce dalle parole di Richard Dickson, senior vice president in charge del marchio Barbie, che in una intervista a Reuters rivela che l’approccio al mercato cinese si rivolge al target delle mamme, prima ancora che a quello delle bambine. Una scelta nata anche dalla constatazione che oggi molte donne adulte cinesi sono cresciute conoscendo Barbie, ma probabilmente senza potersi permettere di possederne una, ed ora vedono nella possibilità di offrirla alle proprie figlie, una forma di riscatto.
Dopotutto, nel lontano 1997, quando i nordici ritornelli degli Aqua inneggiavano “Life in plastic, it’s fantastic”, elevando il product placement Matteliano ad arte dell’equivoco, sbaglio o i titoli di testa erano già sottotitolati in cinese ?
Per saperne di più:
- il sito ufficiale del flagship store di Shanghai
- il lucido articolo di Malcolm Moore citato nel testo
- il sito di Slade Architecture da cui sono tratte alcune delle immagini dell’articolo
- il reportage di Amber Parkin in cui ho scovato l’immagine della Barbie Spa
- tutte le planimetrie dei 6 piani di store nelle ricche photogallery di Archdaily di Xaxor e di Amassingdesign
- un articolo di Lussuosissimo con tante altre foto
Non so se faccia venire i brividi di felicità o quelli di tristezza.
Felicità indubbiamente per la genialità marketing portata all’estremo e per il contesto nel quale viene applicata, funzionerebbe in qualsiasi altro luogo? Se lo chiede Moore e tra le righe te lo chiedi anche tu …
Tristezza per il concetto Barbie che tu ben riassumi nel ritornello degli Aqua. Abbiamo ancora bisogno di Barbie? Nonostante quello che dicono le vendite, compirà anche 50 anni, la plastica lo nasconde ma i piedi rigidi ai quali quelle scarpette non stavano mai attaccate, no!
Poveri cinesi, annichiliti da geniacci del marketing che si sbizzarriscono nei loro esercizi « border line » (personalissimo parere) senza probabilmente chiedersi che danni possano arrecare ……..
Lei dott. Catalano, geniale nell’averlo scovato e egregiamente introdotto!
E’ proprio difficile non porsi queste domande di fronte ad un progetto che rappresenta così smaccatamente luci e ombre della globalizzazione.
Tra tanti paradossi, quello che non manca mai di sorprendermi è l’ingenuità con cui gli eredi di una civiltà così ricca di preziose tradizioni eterne si lasciano catturare da ogni icona del consumismo occidentale …e quando la domanda insegue sogni così proibiti, anche il marketing rischia di trasformarsi presto in un (doppio) gioco…
Ed ecco la risposta occidentale: al Grand Hotel Savoia di Cortina d’Ampezzo (BL) è stata inaugurata la prima Barbie Suite italiana (dopo quelle di Parigi, Atene, Barcellona, Las Vegas). Una stanza total pink e piena di gadget ispirati alla mitica!!!
http://www.grandhotelsavoiacortina.it/hotel/hotel-savoia-cortina-suite-barbie
Vi posso assicurare che il mito di Barbie non è ancora tramontato, specialmente tra gli adulti che ne hanno fatto un’ icona della loro infanzia. E’ lo stesso target degli amanti di Hello Kitty. Oggi la insidiano bambole di celluloide molto disinibite e formose, ma prive della sua classe rosa shocking. A confronto delle sue concorrenti il suo carattere alto borghese, la sua invidiabile magrezza, e i suoi mille accessori (tra cui il suo fidanzato perfetto) sono una testimonianza di uno stile nonostante tutto insuperato.
Mi avete convinta!
Dear Francesco, scopro solo ora il tuo blog e ne sono affascinato. Restio come sono ai blog, mi sono chiesto: la grazia divina mi ha fatto dono della fede? Ovviamente la risposta è no!
Come risposta ho allora optato per un più realistico: « Francesco sa proporre argomenti interessanti e ‘vestirli’ con grazia »
Complimenti
Grazie Arrigo!! Ora che hai valicato le colonne d’Ercole della blogosfera, scommetto che anche tu finirai presto per appassionarti a questo modo di comunicare 🙂