La parola “creatività” è probabilmente una delle più abusate dell’ultimo decennio. Utilizzata a sproposito per indicare le presunte doti di chiunque indossi un paio di accessori stravaganti (confusa con la non meno salubre, ma ben diversa, “eccentricità”), evocata di fronte alla capacità di indaffaratissimi stylist di combinare armoniosamente oggetti da altri concepiti (usurpando la pur sempre ammirevole, ma assai differente “intelligenza compositiva”, come puntualizzerebbe il mio sapiente amico Franco), ravvisandone i sintomi presso infinite situazioni vagamente divergenti dagli standard (sostituendo così un’altra parola che di sinonimi non aveva mai sentito la necessità, come “estro”). Oggi però, osservando le algide forme del Pop Up Store dello stilista Richard Chai, penso non sia sbagliato attingere a questa preziosa voce del vocabolario per conferire alla semplicissima intuizione dello studio Snarkitecture, tutto il merito che spetta alle idee che sanno creare, partendo da qualcosa di esistente, un pezzettino di mondo completamente nuovo, che nessuno aveva ancora immaginato.
I fondatori di Snarkitecture sono un artista e un architetto che hanno scelto di non dedicarsi alla costruzione di edifici ma piuttosto di rielaborare spazi esistenti. Uno dei campi di studio e di azione privilegiato dal duo è quello dei materiali, soprattutto nella prospettiva di manipolarli per raggiungere scopi completamente nuovi e visionari, capaci di cambiare il senso e l’utilizzo dei luoghi e degli spazi.
Sono stati gli stessi Daniel Arsham e Alex Mustonen, aiutati da un valente manipolo di 7 vigorosi collaboratori, a scolpire e intagliare a 18 mani una densa massa di schiuma poliuretanica di cui era stato precedentemente rimpinzato un container piazzato al 504 West 24th Street, nel cuore di Manhattan.
Nel suo ventre sono stati così ritagliati cunicoli, nicchie e ripiani fino a trasformarlo in un irresistibile pop up store aperto dal 21 al 31 ottobre 2010 per lo stilista coreano. Uno spazio destinato alla vendita, ma anche una vera e propria installazione artistica, che non si limita ad imitare o combinare idee, realizzazioni e suggestioni già pensate da altri, ma scrive un proprio capitolo (o perlomeno un bel paragrafo) in quella sublime disciplina, a cavallo tra l’arte, il marketing e l’architettura, che è il retail design.
Il progetto è il quarto di cinque installazioni che si sono succedute da settembre a novembre 2010 durante Building Fashion un’iniziativa nata da un’idea di Boffo NY , (una organizzazione no profit newyorkese la cui missione consiste nell’offrire visibilità ad artisti e designer attraverso esposizioni ed eventi), Spilios Gianakopolous (promotore dello spazio HL23 Tin che ha ospitato l’iniziativa), e il sito web Architizer. I partecipanti alla singolare staffetta erano cinque fashion designers, nessuno dei quali provvisto di un proprio punto vendita indipendente (Simon Spurr, Heather Huey, House of Waris, Richard Chai e Siki Im), ai quali è stata offerta l’opportunità di disporre, per un periodo limitato, di uno spazio fisico reale, capace di dare una rappresentazione tangibile dello spirito del proprio brand.
Ultimo dettaglio: l’allestimento del negozio pare sia costato 5000$ e tutto il poliuretano utilizzato al suo interno, compresi gli scarti della lavorazione, ha potuto essere interamente recuperato alla fine della manifestazione e reso al produttore per essere trasformato in pannelli per l’isolamento termico. Quale miglior contrappasso per un negozio fatto di ghiaccio?
Per saperne di più
- La scheda del progetto nel sito di Snarkitecture
- il sito di David B. Smith e di Lexie Moreland autori delle immagini dell’articolo
- il blog di Thinkpossitive in cui ho scovato i dati sul costo dell’installazione
- il sito di Richard Chai… ancora in progress 🙁
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